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CENIAMO QUESTA SERA, COMMISSARIO? LA LOBBY A BRUXELLES
Postato il 26 luglio 2006 [ 19:00 ] di
comedonchisciotte
politica europea DI BELEN BALANYA'
Negli ultimi venti anni, Bruxelles è diventata un magnete per i
gruppi di pressione industriali e le imprese di relazioni pubbliche,
per il potere sempre maggiore che ostentano le istituzioni europee.
Attualmente più del 50% di tutta la legislazione dei 25 paese
membri dell’UE proviene da Bruxelles, e per quanto riguarda il campo
ambientale la percentuale sale all’80%.
Si ritiene che vi siano circa 15.000 lobbisti che si dedicano a tempo
pieno nell’azione di influenzare le istituzioni europee. Più del
70% di tali “corporati” rappresentano grandi imprese.
Il mondo della lobby industriale a Bruxelles è formato da
più di mille gruppi di pressione, centinaia di imprese di
relazioni pubbliche, numerosi studi legali di avvocati che offrono
servizi di lobby, dozzine di laboratori “di idee” finanziati
dall’industria, oltre a centinaia di imprese che possiedono un proprio
dipartimento per le tematiche europee [1]. Il fatturato annuale
dell’attività di lobby aziendale a Bruxelles raggiunge cifre tra
750 e 1.000 milioni euro [2].
I gruppi di pressione si sono precipitati a Bruxelles, in seguito
all’unione, come mosche sul miele. Ma alcuni, in particolar modo la
“Tavola Rotonda Europea degli Industriali” (ERT), si sono avvantaggiati
e gomito a gomito con la Commissione Europea, hanno svolto un ruolo
fondamentale nel disegnare ed accelerare il processo di unificazione
[3]. A metà degli anni ’80 e nei primi anni ’90, questo gruppo
formato dai capi di 45 delle maggiori imprese europee, ha rappresentato
un ruolo chiave nel promuovere l’integrazione dei mercati, nel porre le
basi delle riforme neoliberali che hanno tempestato l’Europa negli
ultimi anni.
Una perfetta sincronia
A differenza degli Stati membri, a Bruxelles regna una cultura politica
che fa in modo che l’attività di lobby sia la forma più
comune di fare politica. I procedimenti complessi, la mancanza di un
vero dibattito pubblico europeo e la relativa debolezza dei gruppi
sociali in scala europea, creano le condizioni ideali del successo del
“fare lobby” industriale. In tale contesto, non è un caso che i
corsi sull’azione di lobby siano un settore in espansione. Un esempio
abbastanza indicativo è rappresentato dal corso intensivo di una
sera organizzato dal gigante delle relazioni pubbliche
Burson-Marsteller e dal settimanale più letto della
città, “European Voice”, celebrato nel luglio del 2004 [4].
“Ho bisogno di lobbisti, dipendo dai lobbisti”, diceva un eurodeputato
(del Regno Unito) alle più di 100 persone che andavano
spingendosi e comprimendosi in una stanza del Marriot Hotel, dopo aver
pagato 300 euro cadauna. Gli eurodeputati sono schiacciati dalla
quantità di temi sui quali devono decidere fino al minimo
dettaglio, sviluppando spesso una dipendenza cronica dai lobbisti. Egli
spiegava di non volere commenti generali, bensì correzioni di un
testo da poter così presentare direttamente nei “comitati” o
nelle sessioni plenarie del Parlamento affinché possano essere
votati.
Disgraziatamente è un procedimento di routine, che ha come
risultato che molti degli emendamenti redatti da parte dei
rappresentanti dell’industria (ed occasionalmente dei gruppi della
società civile) si convertano in legge. Gli eurodeputati corrono
il rischio di convertirsi in meri intermediari che trasferiscono le
richieste dell’industria alla macchina del processo decisionale. Molti
di essi, dopo un periodo in cui esercitano la propria carica, passano
al mondo della lobby aziendale. Un esempio è dato dai britannici
Nick Clegg (liberale democratico) e David Bowe (laburista) che si sono
uniti alla squadra di lobby del gruppo GPlus Europe, dopo aver lasciato
il Parlamento Europeo nel 2004.
In seguito, al termine della loro carica, anche molti Commissari sono
tornati a Bruxelles come corporati dell’industria. Un buon esempio
è Leon Brittan, ex Commissario del commercio (1994-1999), che
preparò la posizione dell’Unione nelle negoziazioni sui servizi
del WTO (AGCS o GATS). Dal 2000 Brittan si è dedicato a premere
sui suoi successori, Pascal Lamy e Peter Mandelson, in qualità
di Presidente del Comitè LOTIS, un gruppo di pressione che
rappresenta l’industria britannica dei servizi finanziari.
Più a destra
L’attività di lobby a Washington D.C. è famosa per i suoi
modi aggressivi, in contrasto con il tono più conciliatorio di
Bruxelles. Ma la differenza si va sempre più riducendo. Uno dei
partecipanti al corso sulla lobby, svoltosi nel Marriot, era Chrissie
Kimmons, che dirige uno delle centinaia di consultori sulle tematiche
europee che vi sono a Bruxelles. Kimmons, che prima era lobbista per
conto della GlaxoSmithKline, mostrava le principali strategie di lobby
per le imprese a Bruxelles. Consigliava di iniziare “con un Kofi
Annan”, combinato con un “terzo”. Nel suo gergo, fare un “Kofi Annan”
vuol dire relazionarsi con i legislatori per ottenere un compromesso ed
evitare così un risultato peggiore, mentre un “terzo” significa
stringere un accordo con ONG e sindacati. Queste due strategie sono
state usate notevolmente dalla lobby impresaria negli ultimi venti anni
ma ultimamente si vanno imponendo tattiche più aggressive, come
il “dentista” (togliere per prima il peggior dente – la parte che meno
piace di una proposta - ed una volta eliminato dedicarsi al resto) o
“l’elicottero da combattimento” (minacce – per esempio di
ricollocamento – se non ritirano la proposta).
La posizione della padronale europea UNICE (Union of Industrial and
Employers’ Confederations of Europe, ndt) costituisce un buon esempio
di quello spostamento verso tattiche più ostili. L’UNICE chiede
una moratoria di tutte le iniziative sociali fino a che si compia
l’obbiettivo della “Agenda di Lisbona” (il blocco economico più
competitivo del mondo). L’arrivo di Barroso alla Presidenza della
Commissione nell’ottobre del 2004 ha fatto in modo che il discorso
aziendale più duro si sia tolto la maschera della retorica
sociale ed ambientale. Barroso ha annunciato chiaramente che gli
obbiettivi di competitività dell’Agenda di Lisbona avrebbero
goduto della priorità assoluta durante il suo mandato.
Le lamentele dell’industria sulle conseguenze della propria
competitività impoveriscono, una dopo l’altra, le iniziative per
proteggere la salute o l’ambiente. Un triste esempio è REACH
(Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals,
ndt), sistema proposto per registrare e testare sostanze chimiche. La
proposta dell’Unione per migliorare la disastrosa normativa esistente
sulle sostanze chimiche ha dato luogo alla più grande campagna
di lobby industriale che si sia mai avuta in Europa fino ad oggi [5].
La campagna è stata condotta dal CEFIC, l’associazione europea
dell’industria chimica, ed ha contato sull’appoggio deciso
dell’industria chimica statunitense e dell’amministrazione Bush. Come
risultato di tale campagna, nella quale si sono sprecati allarmismo,
studi di impatto pieni di falsità e tattiche per ritardare il
processo, REACH è andata perdendo impeto fino a diventare
un’ombra della proposta originale.
Norme per l’attività di lobby?
Malgrado l’aumento spettacolare del numero di lobbisti e della
crescente influenza politica delle grandi imprese, esistono poche norme
che regolano la lobby alle istituzioni europee. Nel registro del
Parlamento Europeo compaiono più di 5.000 lobbisti accreditati
con pass, ma tale lista include solo il nome e l’organizzazione, non
per chi lavorano, né in che campo, né con quale budget.
Per quanto riguarda la Commissione Europea, è risultata
abbastanza ostile alle proposte di regolamento del lobbing. Negli
ultimi anni non solo è aumentato il numero di lobbisti, ma sono
anche aumentate le richieste affinché si ponga un limite alla
sua influenza.
Il grande scetticismo verso le istituzioni europee che impera tra la
popolazione, spinge la Commissione a manovrare in cerca di
legittimità. Nel marzo 2005 il vicepresidente della Commissione
e Commissario per le tematiche amministrative, auditorio e lotta contro
la frode, Sim Kallas, annunciò la messa in moto della Iniziativa
Europea di Trasparenza (European Transparency Iniziative, ETI) [6]. In
un discorso che colse molti di sorpresa, Kallas evidenziò
l’influenza degli oltre 15.000 lobbisti a Bruxelles e lamentò
“l’assoluta mancanza di norme sui rapporti ed i registri delle
operazioni di lobby nell’UE…”. Per la prima volta si apriva una porta
nella Commissione alla possibilità di rendere obbligatoria
l’informazione sulle attività di pressione.
Ma l’opposizione è e sarà feroce. Tra gli oppositori si
mettono in luce l’Associazione dei Professionisti di Tematiche Europee
(Society of European Affair Professionals, SEAP), la cui ragion
d’essere è stata, a partire dalla sua creazione nel 1997,
prevenire qualsiasi tipo di regolazione vincolante sulla lobby, ed
EPACA, la “European Public Affairs Consultancies Association”, creata
nel gennaio del 2005 [7]. Oltre a questi gruppi più
specializzati, neanche le lobby impresarie sono molto contente della
proposta. Diversamente nella società civile sono numerosi i
difensori. Nel luglio del 2005 si è formata l’Alleanza per la
Regolazione sulla Trasparenza ed Etica della lobby (Alliance for
Lobbying Transparency and Ethics Regulation, ALTER-EU), una coalizione
di movimenti sociali, sindacati ed accademici per combattere per una
ETI forte. Oltre a norme vincolanti per la trasparenza delle lobbies,
ALTER-EU reclama anche un miglioramento del codice di condotta per i
Commissari europei (che limiti la continua ricerca dei candidati nel
mondo industriale) e la fine dell’acceso privilegiato a legislatori ed
alte cariche delle quali usufruiscono i lobbysti dell’industria [8].
A partire dal primo discorso di Kallas, ed in seguito ad una feroce
opposizione dell’industria e di gran parte della Commissione, sembra
che i responsabili dell’ETI si siano allontanati dalla
possibilità di norme vincolanti, esprimendo preferenza per
codici volontari ed altre bellezze simili. Gli interessi impresari
hanno scommesso, in gran parte, sulla volontarietà, quel filone
che così tanti buoni risultati sta dando loro in altri campi.
Sempre più frequentemente, invece di opporsi frontalmente agli
obbiettivi sociali o ecologici che perseguono una regolazione
potenziale, le imprese si dichiarano portavoce degli stessi, ma con la
condizione che non vengano imposti obblighi e che si permetta loro di
avere le mani libere. Il fatto che i codici di condotta e gli altri
strumenti volontari si siano dimostrati, in modo crescente,
assolutamente inefficaci, non sembra un ostacolo affinché la
Commissione elimini una dopo l’altra la possibilità di norme
vincolanti (uno degli esempi più recenti è quello
relativo alla Responsabilità Sociale delle Imprese –CSR). Nel
caso della ETI il risultato finale non è stato ancora deciso, ma
è possibile che nasca un qualcosa così tanto
“decaffeinato” che non permetta uno scrutinio efficace dell’influenza
della lobby, e che, malgrado ciò, cercherebbe tentativi di
legittimazione, facendo quindi più male che bene.
Delle buone norme potrebbero permetterci di accedere con una certa
facilità ai loro dati che solo adesso è possibile
osservare ma con sforzo. Nel renderli pubblici, la scandalosa grandezza
delle risorse investite per gli interessi aziendali e le disastrose
conseguenze sociali della loro influenza, possono far sì che si
alimenti un gran rifiuto popolare, più di quanto abbiano fatto
molte campagne fino ad oggi. Certamente tali norme non
significherebbero la fine del potere delle imprese a Bruxelles, ma
rappresentano un passo necessario, e da qui l’importanza di lottare per
queste. Esponendolo alla luce del sole, aiuterà anche a porre
termine alla simbiosi tra attori politici ed economici. E potrebbe
portare la società a smettere di sacrificare il progresso
sociale ed ecologico sugli altari della “competitività
internazionale”, ed a esigere un controllo veramente democratico
dell’economia.
Belèn Balanyà
è membro di Corporate Europe Observatory. Questo articolo
è stato pubblicato nel nº 22 della rivista Pueblos, luglio
2006, Especial Multinacionales, pp 15-17
Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=34771
Traduzione per www.comedonchisciotte.org di RICCARDO ROSINI
La foto in alto è di EZEQUIEL SCAGNETTI/REPORTERS FOR TIME
(nell’articolo www.time.com/time/europe/html/040607/story_3.html)
NOTE:
[1] CORPORATE EUROPE OBSERVATORY (Julio 2005): Lobby Planet Guide,
Brussels, the EU Quarter.
[2] EUROPEAN VOICE: “A spoonful of sugar makes the message go down”,
Vol. 11 No. 33: 22 septiembre 2005.
[3] BALANYÁ, Belén; DOHERTY, Ann; HOEDEMAN, Olivier;
MA’ANIT, Adam Y WESSELIUS, Erik (2002): Europa, S.A., Barcelona, Icaria
Editorial, Colección Antrazyt.
[4] EUROPEAN VOICE Y BURSON-MARSTELLER: “Lobbying: developing the
strategy - delivering the results”, 15 de julio de 2004.
[5] CORPORATE EUROPE OBSERVATORY (Marzo 2005): “Bulldozing REACH - the
industry offensive to crush EU chemicals regulation”.
[6] KALLAS, Sim (3 de marzo de 2005): “ The need for a European
transparency initiative”, European Foundation for Management,
Nottingham Business School, Nottingham.
[7] Evoluzione del “Gruppo del Codice di Condotta”.
[8] ALTER-EU (19 de Julio de 2005): “Ending corporate privileges and
secrecy around lobbying in the European Union”. Per altre informazioni
riguardo il dibattito sulla regolazione delle lobby nell’UE.